In che modo prendiamo decisioni? I primi ad aver dato una risposta a questo interrogativo sono stati gli psicologi Kahneman e Tversky, che negli anni ‘70, analizzarono il ruolo dei bias cognitivi nel processo decisionale degli individui in contesti quotidiani caratterizzati da mutevolezza, incertezza e scarsità di risorse.
I bias sono scorciatoie cognitive utilizzate per prendere decisioni in fretta e senza dispendio di energie. In certi casi, tuttavia, si basano su percezioni errate o deformate, su ideologie e pregiudizi sviluppati interpretando le informazioni senza logica e connessione semantica.
I bias nella selezione
Come in tutti i processi decisionali, anche durante la selezione possono emergere dei bias, che rischiano di inficiare il successo della selezione stessa.
Ecco alcuni dei bias che intervengono più frequentemente durante il processo di valutazione del candidato:
- Effetto alone: è la tendenza a estendere una caratteristica positiva o negativa a tutto il giudizio complessivo;
- Effetto indulgenza o effetto tendenza centrale: valutare in modo eccessivamente positivo o negativo il candidato oppure al contrario attribuirgli solo i valori medi della scala di valutazione;
- Effetto primacy o recency: il primo accade quando il valutatore ricorda solo le prime informazioni, al contrario il secondo si verifica quando si ha un miglior ricordo delle ultime informazioni recepite;
- Effetto conferma: è la tendenza a sovra-ponderare gli elementi che confermano la correttezza di una propria idea o decisione;
- Effetto ancoraggio: l’errore consiste nell’ancorare la valutazione a una delle prime informazioni ricevute che influenzano tutte le successive;
- Fallacia di Gabler: il giudizio attuale viene influenzato da una precedente valutazione, attribuendo così maggiore rilevanza a ciò che è accaduto in passato rispetto al presente;
- Effetto Barnum: accade quando un’informazione o un evento monopolizzano l’attenzione del selezionatore influenzando tutta la valutazione;
- Effetto contrasto: si verifica quando, dopo colloqui con persone poco adeguate al ruolo, l’incontro di un candidato leggermente superiore porta ad attribuirgli una valutazione assolutamente positiva. Viceversa, dopo una serie consecutiva di colloqui con persone preparate e brillanti, anche una persona con capacità medio-alte diventa, all’apparenza, mediocre.
Quali contromisure si possono adottare?
Kahneman fornisce una soluzione per combattere i bias: imparare a non fidarsi delle proprie impressioni e riconoscere lo schema fallace che mettiamo in atto.
Solo prendendo consapevolezza dei propri bias possiamo elaborare delle strategie per evitarli; per ridurre gli errori sistematici è utile adottare tecniche di debiasing, come per esempio il training learning by doing (formazione per analizzare le situazioni in cui agiscono i bias e avere un feedback immediato sul risultato che essi provocano) e consider the opposite (porsi delle domande sull’efficacia dell’attribuzione sistematica).
Per ridurre gli errori di valutazione, durante la selezione, è importante utilizzare metodologie quantitative abbinate a quelle qualitative, in modo da avere un riscontro oggettivo rispetto le nostre impressioni. I test di personalità, i test attitudinali e le scale di valutazione prive di valori centrali sono per esempio dei metodi utili. Un’altra soluzione è quella di svolgere i colloqui in panel con un collega recruiter: il confronto permette sia di diminuire il rischio di errore sia di aumentare il numero delle informazioni raccolte.
Andrea Scolari, Alessia Villani